Eccellenza,
Sono pertanto a chiederLe la cortesia di fissare al più presto possibile un incontro con il Consiglio Nazionale Forense e con i rappresentanti dei 26 Ordini forensi distrettuali e con l’Organismo Unitario dell’Avvocatura al fine di ripristinare condizioni minime di dialogo e di interlocuzione ufficiale, data la delicatezza dei temi coinvolti.
Sulla base delle notizie di stampa, e dei testi che sono comunque filtrati all’esterno, e che pertanto, come in passato, ci arrivano da fonti diverse da quelle del Suo dicastero, debbo segnalarLe alcune forti criticità.
Suscita soprattutto sconcerto la reintroduzione dell’istituto della mediazione obbligatoria in un decreto legge, dopo che la Consulta ha pronunziato la illegittimità costituzionale di tale disciplina. A parte i dubbi sulla scelta di una fonte emergenziale in una materia coperta da riserva assoluta di legge, Le segnalo che la sentenza della Corte costituzionale ha provocato la caducazione della intera pregressa normativa per eccesso di delega, ritenendo assorbiti e non infondati gli altri possibili vizi: si tratta dunque di profili di illegittimità che permangono, dei quali la Corte non si è occupata solo perché sotto il profilo logico giuridico della disamina delle questioni di legittimità costituzionale riguardano il merito della disciplina. Questi vizi restano evidenziati da numerosissime ordinanze di remissione provenienti da molte istanze giudiziarie nazionali, e riguardano molti altri profili, tra i quali mi preme segnalare la stessa obbligatorietà del meccanismo, la sua onerosità, e soprattutto l’assenza di opportune garanzie di preparazione giuridica per i mediatori, reclutabili anche tra soggetti privi di formazione tecnico giuridica (si consideri al riguardo la ordinanza di remissione del TAR Lazio del 12 aprile 2011, r.o. n. 268). Non risolve certo il problema l’iscrizione di diritto degli avvocati negli albi dei mediatori. Inoltre, i risultati che la mediazione obbligatoria ha sortito sono assai deludenti. In più, non si hanno dati sulle verifiche e sui controlli predisposti dal Ministero sugli organismi di conciliazione di diritto privato, in ordine alla regolarità della loro costituzione, del funzionamento, dell’amministrazione finanziaria e dell’osservanza delle regole sul conflitto di interessi. Non si hanno dati sui corsi di formazione dei conciliatori e sulla loro regolare frequenza, né sulla qualità dei mediatori.
Quanto alle altre misure sulla giustizia civile, il reclutamento di magistrati onorari per le Corti d’appello – con norme peraltro non coordinate con le altre già vigenti in materia di magistrati onorari – non risolverà ovviamente i problemi di sovraccarico delle istanze giudiziarie di primo grado. Perché non si ripeta l’infelice esperienza delle c.d. “sezioni stralcio”, oltretutto, occorrerebbe prevedere criteri di selezione rigorosi, fondati su una seria valutazione delle competenze giuridiche degli aspiranti “giudici”, ed anche dell’ expertise maturata da ciascuno. Inoltre il loro impiego dovrebbe essere limitato a fasi ben determinate della controversia e non già generalizzato per le controversie destinate al giudizio della Corte d’Appello.
Persino sulle norme in materia di esame di abilitazione alla professione di avvocato si interviene senza ascoltare l’Istituzione forense: sembra che il decreto incida anche sull’art. 47, comma 1 del nuovo ordinamento forense appena entrato in vigore (legge 247/2012), prevedendo che le commissioni per l’esame di Stato non siano più composte, per la componente relativa alla magistratura, di magistrati in pensione: per effetto del decreto le commissioni avranno solo “di regola” magistrati in pensione ma potranno avere anche magistrati in servizio, il che è effettivamente incomprensibile se si pensa che la stessa normativa recluta magistrati onorari in forme straordinarie, sulla base del presupposto della sproporzione tra la mole del contenzioso e i numeri dei magistrati in servizio. Il Parlamento, solo poche settimane fa, aveva varato la diversa previsione contenuta nella riforma forense proprio per evitare che risorse preziose fossero distolte dal servizio attivo nella magistratura giudicante e requirente.
Da ultimo, mi preme sottolineare un ulteriore aspetto critico del decreto che non si cura della funzione sussidiaria dell’avvocato rispetto alla possibile devoluzione di funzioni di tipo “paragiurisdizionale”. Al contrario, il Governo sottrae al giudice naturale questioni relative alla comunione e alla divisione, delineando ora un procedimento volontario di affidamento al notaio delle attività necessarie per lo scioglimento della comunione, quando non sussista controversia sul diritto alla divisione né sulle quote o altre questioni pregiudiziali. Non si comprende perché non affidare queste funzioni a chi svolge, come l’avvocato, attività di ausiliario nella giurisdizione.
L’Avvocatura ha proposto di introdurre la negoziazione assistita, la translatio judicii ai procedimenti arbitrali, e altre misure per deflazionare il carico pendente, ma non ha mai avuto risposte dal Ministero.
Il proposito dell’Avvocatura è di partecipare all’amministrazione della giustizia, non di esserne esclusa. Il proposito del Consiglio Nazionale Forense è di cooperare con il Ministero, non di apprendere le notizie dai giornali a provvedimenti già assunti.
Grato per l’attenzione e restando in attesa di conoscere le Sue determinazioni, porgo molti cordiali saluti. Avv. Prof. Guido Alpa